Molti dei problemi più gravi della nostra Nazione derivano dal rapporto degli italiani con le regole. Come una procedura aziendale, una norma è una decisione codificata, che riflette il senso di una decisione originaria, a cui si attribuisce una valenza positiva in termini generali. Serve per fa sì che, in una circostanza sufficientemente simile a una verificatasi in precedenza, sia possibile agire nel rispetto di un principio che si intende tutelare.
Una norma è una semplificazione che mira ad aumentare l’efficienza, non siamo più costretti a riunire il consiglio degli anziani per decidere cosa è lecito e cosa no. Tuttavia, la norma, per definizione, è generale e astratta e, talvolta, il guadagno in termini di efficienza può avvenire a spese dell’efficacia. Lo vediamo bene in azienda, quando qualcuno, proprio perché si attiene alla procedura, procura un danno grave e poi si difende sostenendo di averlo fatto “scrupolosamente”.
Assai spesso, siamo pronti a considerare le norme dei consigli quando riguardano noi e sono in gioco questioni di sostanza: la decantata “flessibilità” italiana, spesso contrapposta alla fastidiosa “rigidezza” teutonica o scandinava. Paradossalmente, spesso gli stessi individui che si vantano di questa loro “capacità ermeneutica” divengono inflessibili sul rispetto delle norme quando vincolano gli altri e sono in gioco questioni di forma. È così comodo, così autoassolutorio essere rigidi sulle questioni formali per poter essere flessibili su quelle sostanziali!
Penso al disprezzo per le regole che moltissimi concittadini hanno ostentato e continuano a ostentare, con risultati disastrosi, durante la pandemia. Poi oggi vado, dolorante, nella farmacia di Porta Romana, a Firenze, e mi si nega un farmaco perché la prescrizione reca la data del 25 novembre ’29. Provo a far notare al bipede laureato che la formula, che la sua obiezione è di una idiozia sesquipedale, ma è inutile: per lui o la prescrizione risale a prima della Seconda Guerra Mondiale o devo aspettare otto anni per ripresentarmi in farmacia.
Frugo nei miei lontanissimi ricordi di occasionale studente di diritto. A mio avviso, è evidente qual era l’intento di chi ha scritto la norma quando ha specificato che non ci devono essere errori nella prescrizione di un farmaco. È altrettanto evidente che un errore simile non può in alcun modo pregiudicare il principio a fondamento di quella norma.
Qual è allora il vero problema? È una tutta questione di responsabilità, della nostra endemica incapacità di assumerla, sia quando andiamo in un luogo pubblico senza mascherina, sia quando cavilliamo su un errore formale assolutamente ininfluente, come quello che il mio medico, distrattamente, oggi ha fatto.