
Nel 1939 Giovanni Mosca fece pubblicare un libro che raccontava la sua esperienza di maestro di scuola elementare nell’Italia tra le due guerre mondiali. Son passati più di 80 anni, ma quel libro, scritto deliziosamente, è pieno di saggezza. Soprattutto mostra, nel difficile ruolo di insegnante, quanto sia fondamentale la conoscenza dei propri allievi, del loro modo di pensare e di giudicare il mondo. Per esempio, nel secondo capitolo del libro, dal titolo “la conquista della 5.a C”, si legge di come un Mosca poco più che ventenne si sia guadagnato la stima e l’ammirazione di quaranta scalmanati sconfiggendo il loro capo – un grintoso Giovannino che di lì a qualche anno sarebbe diventato il Guareschi fido sodale dello stesso Mosca – in una gara di tiro al moscone con la fionda.
Mi è capitato recentemente di parlarne alla conclusione di un seminario a distanza, (ora li chiamano webinar, speriamo che non duri) sulla digitalizzazione nella scuola, organizzato dall’Ente Nazionale per la Trasformazione Digitale e l’Innovazione, in collaborazione con l’Università di Camerino. Il seminario era il secondo di un ciclo di quattro. Si tratta di una preziosa occasione di confronto tra insegnanti e dirigenti scolastici, concepita non per magnificare “le magnifiche sorti e progressive” della rivoluzione digitale, ma soprattutto per ragionare su come far tesoro dell’esperienza che l’emergenza del Covid19 ha costretto anche la scuola a fare.
La scuola non può e non deve rinunciare a essere fondamentalmente un luogo di incontro tra persone impegnate a mettere le fondamenta del futuro. Tuttavia il mondo sta cambiando anche a causa dello sviluppo tecnologico e ostinarsi a volerlo ignorare significa perdere il contatto con una parte importante della realtà, rifiutarsi di impugnare il nuovo tipo di fionda che i ragazzi osano puntar contro di noi quando mostriamo di disprezzare il modo in cui fanno esperienza.
In queste settimane ho avuto l’occasione di collaborare con un liceo artistico romano proprio per dare una mano a uscire dalla situazione di stallo in cui si trovava. Nell’aiutare insegnanti e allievi, ho capito che la lezione di Mosca è stata fin troppo spesso dimenticata. Questa emergenza è una occasione per gli insegnanti per comprendere cosa voglia dire essere un “nativo digitale”, per superare il senso di smarrimento di fronte all’oltremondo che si è aggiunto alla realtà così come la conoscevamo fino agli anni ’80 dello scorso secolo.
Non a caso parlo di oltremondo. Sto consapevolmente saccheggiando l’immaginifico lessico baricchiano di The game. Il libro è del 2018, ma leggerlo adesso mi pare ancora più utile di quanto non lo fosse allora. Per questo ne ho suggerito la lettura agli insegnanti che mi ascoltavano: due libri separati dai più lunghi 80 anni della storia umana, ma che a tratti parlano della stessa cosa. Allora, uscita dalla Grande Guerra, l’Italia dei dialetti iniziava a trasformarsi nella nazione della lingua italiana. Oggi, uscendo dalla pandemia che ci ha costretto momentaneamente a rendere virtuali i nostri contatti, chi come me ha più di 50 anni ha la possibilità di affacciarsi su quella nuova porzione della realtà. Quella parte di cui magistralmente Baricco racconta la genesi e l’evoluzione. Non si tratta di venerarla o di disprezzarla; di affermarne la superiorità o i limiti. Si tratta solo di comprenderla e di capire il modo migliore per porla al servizio dell’uomo.
Ecco la registrazione del mio breve intervento.